Come dovrebbe essere la scuola che vorrei?
Oggi ho partecipato ad un convegno dedicato all’architettura delle scuole: “Educare al cambiamento”, organizzato dalla Fondazione Montagna Sicura di Courmayeur.
Se mi segui da un po’ sai che osservo con attenzione i piccoli segnali. Ho trovato particolarmente interessante il fatto che questo convegno si sia tenuto nei giorni di luna piena del segno dello scorpione. Lo scorpione, tra gli animali dello zodiaco, è quello che invita ad andare in profondità e a compiere trasformazioni. Trasformazioni che sono fortemente in atto, anche nel mondo della scuola, nonostante i più faticano ad accettarlo.
Nel corso del convegno sono stati presentati alcuni recenti progetti di edilizia scolastica ed è stata fatta una riflessione sul rapporto tra architettura e istanze pedagogiche. Di fatto è emersa una grande distanza tra questi due mondi, che sono stati presentati dai relatori come inconciliabili perché, è stato detto “l’architettura è qualcosa che resta a prescindere dai modelli educativi e dalle innovazioni e deve tenere in considerazione altre istanze, come il dialogo con la città, la funzionalità, il rispetto delle tipologie.
Come madre, come architetto e come donna, ascoltando questo convegno, mi sono venuti i brividi. Per “educare al cambiamento” al centro della creazione e ristrutturazione delle scuole dovrebbero esserci i bambini. Dovrebbe esserci la loro necessità di stare bene e di poter trascorrere del tempo in spazi che, prima che per la città, sono pensati per loro.
Bambini e ragazzi trascorrono a scuola circa il 50% della loro vita attiva. Per la maggior parte di loro, questo significa trascorrere più del 50% della loro vita in spazi angusti, mal illuminati, mal areati e con una acustica terribile.
Trovo paradossale che nessuno dei miei colleghi si accorga che le scuole italiane siano, come tipologia, gli edifici più simili alle carceri. E trovo assurdo che nessuno si renda conto che l’altissimo livello di stress a cui sono esposti i nostri studenti è per forza in parte determinato anche dalla qualità (o degrado) degli spazi in cui l’educazione si compie. Ovunque nel mondo l’architettura delle scuole si mette, giustamente, a servizio dell’educazione. In Italia no, perché ci sono le normative datate, perché non si possono “seguire le mode”, perché il cambiamento non sempre va accolto, anzi in qualche caso va disincentivato, a quanto pare.
Non dovrei sorprendermi per questo. Perché è proprio tipico di una cultura patriarcale impedire l’innovazione e mantenere lo status quo. I nostri bambini sono abituati a trascorrere il loro tempo in aule in cui c’è un unico punto di vista da guardare, quello del professore, in cui non c’è spazio per il loro sentire (non è possibile, ad esempio, isolarsi in spazi più raccolti), e non c’è possibilità di compenetrazione e scambio, perché l’aula è come un acquario da cui si osserva ciò che resta fuori. Ed è evidente che mantenere questa idea di scuola dice moltissimo sul modo in cui intendiamo crescere le nuove generazioni.
E allora quali elementi dovrebbe avere davvero la scuola che vorrei, quella del futuro?
Nicolò Govoni, scrittore, attivista per i diritti umani, candidato premio Nobel per la pace e Ted Speaker propone i seguenti:
🌒 Spazi versatili, accoglienti e domestici, caratterizzati da ampia presenza di luce, materiali caldi e naturali che trasmettano serenità e permettano di mantenere la concentrazione.
🌒 Lo studente al centro, chiamato per nome e riconosciuto per la sua unicità, a cui sia proposta una organizzazione della didattica per competenze e non determinata dall’età. Creazione di classi di livello differenziato in cui siano valorizzati i punti di forza degli alunni e non quelli di debolezza, come nel modello attuale.
🌒 Apprendimento per esplorazione, favorito dal pensiero globale e dalla ricerca. Si tratta di una didattica che parta dalla comprensione del perché, superando l’approccio basato sulla conoscenza dei contenuti, in cui l’insegnante, coach e motivatore, non da le risposte ma apre le domande.
🌒 Un approccio olistico che punti sul sentire, sulla vocazione, sulla crescita personale di alunni e insegnanti. E’ un approccio in cui il sentire, il fermarsi e la relazione sono pilastri dell’educazione e sono ciò che permette e migliora l’apprendimento.
E tu cosa ne pensi? Come vorresti che fossero le nuove scuole per i tuoi figli? Scrivilo nei commenti.